Il politicamente corretto è l’eutanasia del pensiero

Una riflessione di Federico Pierlorenzi, autore di Setta. L’altra schiavitù.

 

In un periodo storico dove le ideologie forti sono crollate (il comunismo con il muro di Berlino, il cattolicesimo con il pensionamento del papa, il capitalismo con le varie crisi economiche e le applicazioni concrete di teorie post capitaliste come la teoria del premio Nobel Nash o anche il semplice microcredito) ci troviamo con uno strumento tecnologico che non sappiamo ancora usare.

I social media che hanno causato la primavera araba sono anche diventati lo strumento usato da piccole comunità che si sentono reiette per attaccare in stile santa inquisizione chiunque la pensi diversamente da loro. E in questa società senza più ideologie forti, nessuno li contrasta. I 4 sobillatori della rivolta del pane di manzoniana memoria fanno leva sulla massa con un livello culturale basso e strumentalizza le parole e le azioni decontestualizzandole. Se tolgo il senso alle parole nego la comunicazione. Lo scopo non è più la ricerca di una verità condivisa. Lo scopo è avere ragione a tutti i costi. Lo scopo è convertire tutti al mio credo. E tutto questo è stato enfatizzato dallo strumento tecnologico che ti toglie dall’imbarazzo e dalla responsabilità di guardare negli occhi il tuo interlocutore mentre parli.

Tutto questo è stato enfatizzato poi da un periodo storico in cui una pandemia mondiale ci ha repressi e frustrati, buttando benzina sul fuoco appiccato da quei pochi che vogliono il potere. Robespierre, dopo aver guidato la rivoluzione del popolo contro l’oligarchia dell’aristocrazia è morto ghigliottinato ad opera della nuova oligarchia che ha preso il potere e non ha avuto la minima intenzione di cederlo al popolo.

In questa cloaca culturale odierna la domanda che guida da tempo le mie riflessioni l’ho ereditata dai cari vecchi latini: Quid prodest? A chi serve questa cosa? E perché? Ma soprattutto a me serve?

L’obiettivo è andare verso una società diversa e, se possibile, migliore di quella odierna. Il come, per me, è educare le persone a ragionare con la propria testa e non cadere nelle trappole seminate dai sobillatori. Infatti, per interpretare le informazioni sconnesse che ci travolgono ogni giorno è necessaria una formazione solida.

Se oggi ciò che conta è il soldo allora il messaggio da consegnare deve avere come mezzo di comunicazione il soldo. Nel caso specifico (che ha ispirato questa mia riflessione) della casa editrice che ha rescisso il contratto a Marilyn Manson senza aver raggiunto una verità processuale ma solo per le illazioni su un social media della presunta vittima (perché come il colpevole è presunto senza processo così è anche la vittima) tutti i sostenitori del cantante possono comunicare pubblicamente alla casa editrice che boicotteranno tutti i loro prodotti.

Estrapolare la situazione specifica, sulla quale non ho informazioni a sufficienza per pronunciarmi, e condannare a priori per un crimine di per sé condannabile, ma soprattutto accusare chi vuole comprendere meglio la situazione di sostenere il crimine stesso, significa decontestualizzare e dire che chi non si schiera con la vittima a priori è egli stesso uno stupratore o un sessista o un misogino o un razzista o addirittura un terrapiattista o un no-vax. Nel mondo del “o bianco o nero” chi cerca di comprendere la posizione altrui per poter trovare una sintesi è automaticamente nemico. Mettersi nei panni degli altri, o cercare di farlo, assume una connotazione negazionista agli occhi dei facinorosi, dei tifosi hooligans di quella piccola ideologia che non ha ancora assunto il potere.

Dopo la prima ondata della Rivoluzione, poi la testa è caduta anche a chi non aveva alcuna responsabilità ma si è semplicemente macchiato della colpa di non schierarsi con gli oltranzisti, la colpa di voler cercare di capire e di tentare una sintesi tra le parti.

Nel periodo storico del far west dei social media, nell’attesa di una legislazione mondiale condivisa, l’uomo col fucile se la vive meglio di quello con la pistola.

Ognuno organizzi le proprie barricate sociali insieme a piccoli gruppi di persone in sintonia con loro e non fidiamoci troppo di chi scrive senza leggere. Di chi vomita sugli altri i propri bisogni repressi senza aver cura di ascoltare la risposta altrui. Di chi, per soddisfare il bisogno di sentirsi visto ed accettato dagli altri perché lontano dalla personale accettazione di sé stesso, rincorre quei quindici minuti di fama previsti dal compianto Andy Warhol.

Buona Tombstone a tutti!

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