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Filosofia del pensiero plurale
Home›Filosofia del pensiero plurale›Il mito dell’unicità alla base del Big Bang

Il mito dell’unicità alla base del Big Bang

By Antonio Di Bartolomeo
4 Marzo 2018
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Secondo la teoria generale della relatività, lo spazio può essere suddiviso ad infinitum in tante regioni sempre più piccole. Tutto ciò presuppone il continuum. Osserviamo, a tal proposito che la meccanica quantistica afferma che le quantità fisiche esistono sotto forma di pacchetti discreti, rilevabili solo in base a una scala di Planck. Secondo la teoria detta «loop quantum gravity», lo spazio non è che una rete composta da tanti campi gravitazionali intersecantesi gli uni con gli altri (l’insieme degli intrecci è detto spin network, mentre il suo sviluppo è chiamato spin foam). La teoria, tra le altre cose, ci dice che più che di Big Bang occorrerebbe parlare di Big Bounce, quale stadio continuo dove il collasso gravitazionale di un universo causa la comparsa di un altro universo. Ma ecco il punto: com’è nato il Cosmo?

Dai miti presenti nelle religioni a carattere emanazionistico e creazionale apprendiamo che il cosmo è stato creato da un Essere Superiore: Fiat lux, e luce fu. La creazione si dispiega come processo a fasi: sussistono un insieme di atti generatori del Cosmo (in tutte le sue forme[1]). I cosmologi, da parte loro, hanno risposto con la teoria del Bing Bang: l’universo è nato in seguito all’esplosione di una a “sostanza” estremamente calda e densa, nell’ambito di un processo di espansione tuttora in atto.

Di che sostanza si parla?

Fu il gesuita Georges Lemaître il primo ad avanzare l’ipotesi dell’atomo primitivo, basandosi sulle equazioni della relatività generale di Albert Einstein (secondo la formulazione proposta da Alexander Fridmann), e su ipotesi semplificatrici, come l’omogeneità e l’isotropia dello spazio. Quando poi Edwin Hubble, negli anni Venti del secolo scorso, rilevò che la distanza delle galassie più lontane è proporzionale al loro spostamento verso il rosso (come pure aveva ipotizzato Lemaître nel 1927), molti esultarono: avevano ottenuto l’agognata prova che le galassie e gli ammassi si espandono, il che, a sua volta, suggeriva che tutti gli oggetti spaziali fossero più vicini (più coesi) in un passato remoto, compattati a mo’ di singolarità – ove densità e temperatura gradatamente incrementano all’infinito. Sembrerebbe, una tale “singolarità”, un Unicum, posto all’inizio di tutto: ciò che sconfesserebbe l’idea di una pluralità originaria onnipresente.

Alcuni modelli che si rifanno alla teoria del Big Bang, infatti, concepiscono quella singolarità come elemento omogeneo e isotropo; eppure, quelle stesse teorie riferiscono che 10−37 secondi dopo l’istante iniziale, una transizione di fase determinò un’inflazione cosmica, durante la quale l’universo aumentò le sue dimensioni esponenzialmente. Come a dire: è dall’Unicum che si forma la pluralità. La pluralità sarebbe, perciò, figlia dell’Unicum! Continuando la storia, a un certo punto, l’inflazione si fermò, generando un plasma di quark e gluoni, oltre a tutte le altre particelle elementari[2]. Tuttavia,

la teoria del Big Bang è limitata: non può retroagire sino a quell’istante, che rimane fuori da ogni rilevazione. Non spiega la genesi del Cosmo ma, si potrebbe dire, gli attimi subito successivi.

Si dovrebbe piuttosto dire che il tempo inizia in e da quell’istante. Si possono studiarne i più immediati effetti. Persino rilevare, per esempio, l’esistenza di coppie particella-antiparticella[3] dalla cui collisione si genera e distrugge materia. In seguito al Big Bang, la temperatura e quindi l’energia di ogni particella diminuisce; e all’incirca dopo 10−11 secondi, il quadro d’insieme diventa più “chiaro”: l’energia particellare raggiunge valori che la fisica è in grado di riprodurre e studiare. Qualche minuto dopo l’istante iniziale, quando la temperatura era all’incirca 109 gradi kelvin e la densità paragonabile a quella dell’aria, i neutroni si combinarono con i protoni, formando i primi nuclei di deuterio e di elio in un processo chiamato “nucleosintesi”. La maggior parte dei protoni non si combinò e rimase sotto forma di nuclei di idrogeno. Dopo circa 379 000 anni, gli elettroni e i vari nuclei si combinarono formando gli atomi (soprattutto idrogeno); a partire da questo istante, la radiazione si slega dal vincolo della materia e comincia a vagare liberamente nello spazio[4]. Questa la storia sintetica del Big Bang. Rimane il fatto che l’universo primordiale e le onde gravitazionali emesse durante il Big Bang non sono oggetto di sperimentazione diretta, e non essendo rilevabili, o, per essere ottimisti, non essendo stati ancora rilevati, spingono i ricercatori a brancolare nel buio. Quell’unicum da cui tutto avrebbe avuto origine rimane preda di speculazioni, per trasformarsi in niente più che un meraviglioso racconto mitologico, che inneggia alla dea unicità e al dio eleganza[5].

Gli attuali acceleratori di particelle[6] non hanno la possibilità di esaminare dati inerenti un regime di energie così elevato. Qualcuno sostiene che se si potessero riconciliare i concetti classici della relatività generale con quelli più specifici della quantistica, si potrebbe ottenere un modello più competitivo per descrivere la struttura dello spazio-tempo, risolvendo così tutta una serie di misteri che avvolgono la nascita del Cosmo. Ma per ora ci teniamo stretto quel plurale – le onde gravitazionali dell’inizio – che sa tanto di pluralità[7]. E soprattutto ci teniamo stretta la teoria delle stringhe, la quale ipotizza che la materia, l’energia, lo spazio e il tempo siano la manifestazione di entità fisiche sottostanti (appunto, le “stringhe”), che vibrano in 10 dimensioni nello spazio-tempo, formando così le particelle subatomiche che originano gli atomi.

_________________________

[1] Cfr. AA.VV. In principio: Racconti sull’origine del mondo, a cura di M. Bielawski e Vito Mancuso, Garzanti, Milano 2014.

[2] M. Teodorani, L’Atomo e le Particelle Elementari. Dalla scienza degli antichi alle superstringhe di oggi, Macro Edizioni, Diegaro di Cesena 2007.

[3] Le antiparticelle hanno stessa massa delle particelle ma carica opposta. Da notare che Ettore Majorana propose l’esistenza di particelle che non rispondono alla legge di collisione. Scomparve lui, in compenso.

[4] Si tratta di una “radiazione fossile” ancor oggi visibile, conosciuta come «radiazione cosmica di fondo», rilevata ufficialmente nel 1964, altra prova a sostegno della teoria del Big Bang.

[5] Cfr., L’indomabile propensione a ridurre tutto a Uno.

[6] Il più importante si trova presso il CERN di Ginevra: il Large Hadron Collider, abbreviato LHC (Grande Collisore di Adroni).

[7] «L’universo primordiale non era né troppo grumoso né troppo liscio: proprio come la minestra dell’orsetto nella favola Riccioli d’Oro, era a “puntino”. Se inizialmente fosse stato molto grumoso, invece della condensazione di idrogeno ed elio nelle galassie, si sarebbe verificata una condensazione in buchi neri. Tutta la materia ne sarebbe stata risucchiata, finendo schiacciata dalle forze tremendamente potenti che si trovano al loro interno. D’altra parte, se l’universo primordiale fosse stato troppo liscio, ossia troppo omogeneo, non si sarebbe verificata alcuna condensazione. Un mondo che contiene galassie, stelle e pianeti non è il generico prodotto dei processi fisici agenti nell’universo primordiale: rappresenta la rara – e per noi fortunata – eccezione» (ivi, p. 122).

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